Ph. Fabrizio Ferri per Vogue Italia. Courtesy Archivio Condè Nast Italia.
Trent’anni di storia della moda italiana raccontati attraverso quel movimento sinergico che scuote i grandi cambiamenti e si rispecchia nella cultura, estesa in tutte le sue forme. Si inaugura oggi, nel cuore della fashion week milanese, al Palazzo Reale di Milano, ITALIANA. L’ITALIA VISTA DALLA MODA.1971 – 2001. Non solo abiti e accessori, ma oggetti, personaggi, commistioni culturali, politiche, artistiche. Movimenti che hanno influenzato la moda e che ne sono stati influenzati. Creatività e nuove scuole di pensiero, innovazione e diversificazione, un grande lavoro su immagine e sperimentazione creato anche da fotografi come Oliviero Toscani, Paolo Roversi, Alfa Castaldi, e icone della moda, da Armani a Romeo Gigli. Comunicazione e marketing si sono poi aggiunti alla creatività supportando la crescita esponenziale di un fenomeno che ha fatto un pezzo dela storia del nostro Paese. La mostra segue un ordine tematico: Identità, Democrazia, In forma di logo, Diorama, Project Room, Bazaar, Postproduzione, Glocal, L’Italia degli oggetti. Il periodo storico va dal 1971 al 2001, cioè dalla nascita del pret a porter all’anno in cui la moda italiana diventa internazionale.
Dal 22 Febbraio al 6 Maggio 2018. Palazzo Reale, Milano. Piazza Duomo 12.
Dal celebre bacio di “Via col vento”, alla pista d’aeroporto di “Casablanca”, alla piattaforma del “Titanic”, il cinema, come la letteratura, l’arte, la musica, ha alimentato e raccontato passioni e mitologia del sentimento più discusso, dalle coppie storiche: Antonio e Cleopatra, Bonaparte e Josephine De Beauharnais, Edward VIII e Wallis Simpson, alla letteratura: John Keats e Fanny Brawne, Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, Sartre e Simone De Beauvoir, Sibilla Aleramo e Dino Campana e la splendida storia di Shakespeare, Romeo and Juliet, al cinema: Brigitte Bardot e Roger Vadim, Richard Burton ed Elisabeth Taylor, Paul Newmann e Joanne Woodward, Katharine Hepburn e Spencer Tracy, all’arte: Rodin e Camille Clodel, Monet e Camille Leonie Doncieux, Frida Kahlo e Diego Rivera, alla musica: Jonny Cash e June Carter, Lou Reed e Laurie Anderson, John Lennon e Yoko Ono. Solo per fare qualche fulgido esempio. Amori mitici che hanno sfidato la storia, resistito al tempo, navigato nella tempesta; teneri o passionali, saldi esempi di continuità o veloci come meteore, consumati da crudeli destini. Consegnato alla storia, vissuto in clandestinità o nella realtà di un’ eroica quotidianità, comunque, l’Amore si merita una maiuscola.
Amore. Un termine con il quale ogni essere vivente deve fare conti che spesso non tornano, ma che è innegabilmente indispensabile ad un ‘idea di felicità radicata nel nostro immaginario e in un’anima che anela al sogno immortale della gemella. All’amore si dedica un giorno all’anno sul calendario, ma ogni secondo del nostro tempo ne è segnato. Amore non è “solo” quello stordimento impossibile da definire che rende pazzi di gioia o di disperazione, quella sensazione di completamento e di pace che illumina gli occhi di ogni coppia felice, è anche il motore e il senso della vita, la spinta dell’umanità alla ricerca del tutto. L’amore è universale. E’ Gandhi, è Madre Teresa di Calcutta, è Martin Luther King, sono centinaia di migliaia di donne e uomini che hanno dato se stessi per una causa chiamata umanità. Amore è il seme più prezioso e nobile del genere umano e non solo umano, sta a noi farlo germogliare e renderlo invincibile.
Il cult movie del 1996 ROMEO + JULIET, dal capolavoro di Shakespeare, in chiave postmoderna diretto da Baz Luhmann. Uno dei film che bisogna avere visto nella vita.
LA DIFESA DI UNO DEGLI ULTIMI AMBIENTI NATURALI non ancora sfruttati dall’uomo, il pericolo incombente del riscaldamento globale, la sensibilizzazione verso i temi della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, la dialettica tra natura e civiltà. Sono questi gli argomenti attorno a cui ruota la mostra ARTICO.ULTIMA FRONTIERA in programma dall’8 febbraio al 25 marzo 2018 alla Triennale di Milano. L’esposizione, curata da Denis Curti e Marina Aliverti, presenta circa 60 immagini, rigorosamente in bianco e nero e di grande formato, di tre maestri della fotografia di reportage: Ragnar Axelsson Carsten Egevang e Paolo Solari Bozzi. E’ un’indagine approfondita, attraverso tre angolazioni diverse, su un’ampia regione del Pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia e l’Islanda, e sulla vita della popolazione Inuit, 150.000 individui, costretti ad affrontare le difficoltà di un ambiente ostile. “In queste immagini – afferma Denis Curti – l’imminenza del riscaldamento globale si fa urgenza, mentre si apre un confronto doloroso in cui l’uomo e le sue opere vengono inghiottiti dall’immensa potenza della natura. Bellezza e avversità sono i concetti su cui si fonda questo progetto, con una mostra che intende riportare l’attenzione sui paesaggi naturali e le tematiche ambientali dei nostri giorni”. La lotta con le difficoltà dell’ambiente, il passaggio, lento ma inesorabile, dallo stile di vita di una cultura millenaria a quella della civilizzazione contemporanea, a cui si aggiunge il drammatico scenario del cambiamento climatico, figlio del surriscaldamento ambientale: sono questi i punti su cui s’incentrano le esplorazioni dei tre fotografi. Le popolazioni Inuit sono al centro della ricerca di Ragnar Axelsson che, fin dai primi anni Ottanta, ha viaggiato fino ai confini del mondo abitato per documentare e condividere le vite dei cacciatori nell’estremo nord della Groenlandia, degli agricoltori e dei pescatori della regione dell’Atlantico del nord e degli indigeni della Siberia e racconta di villaggi ormai scomparsi, di intere comunità ridotte a due soli anziani che resistono in una grande casa scaldando una sola stanza; racconta di mestieri che nessuno fa più e di uomini che lottano per la sopravvivenza quotidiana. Ma dalle foto di Axelsson emerge soprattutto l’umanità che ha incontrato sulle lunghe piste delle regioni artiche. Carsten Egevang, partendo da una formazione accademica in biologia che lo ha portato dal 2002 al 2008 a vivere in Groenlandia e a studiare la fauna ovipara della regione artica, ha saputo documentare la natura selvaggia e la tradizionale vita delle popolazioni Inuit. Paolo Solari Bozzi presenta un progetto inedito, frutto del suo viaggio, tra febbraio e aprile 2016, sulla costa orientale della Groenlandia, nel quale ha visitato i pochi villaggi, riportando la quotidianità di una popolazione che ha scelto di vivere in un ambiente difficile. Accanto alle potenti immagini di una natura sofferente e affascinante, TRE DOCUMENTARI arricchiscono la narrazione delle regioni del Nord: SILA and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gamma; Chasing Ice, diretto dal fotografo e film-maker americano James Balog; The Last Ice Hunters, dei registi sloveni Jure Breceljnik e Rožle Bregar. La terza componente di ARTICO. ULTIMA FRONTIERA consiste in UNA GIORNATA DI SUMMIT SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO,CHE SI TERRA’ IN TRIENNALE IL 27 FEBBRAIO 2018 . Saranno presenti scienziati, professori, imprenditori e politici per riferire sulle tematiche ambientali viste da diverse angolazioni. Una delle rare occasioni di dibattito su questi temi così attuali.
ARTICO. ULTIMA FRONTIERA Fotografie di Ragnar Axelsson / Carsten Egevang / Paolo Solari Bozzi a cura di Denis Curti e Marina Aliverti 8 febbraio – 25 marzo 2018 Triennale di Milano Viale Alemagna 6 20121 Milano?T. +39 02 724341 www,triennale.org Ingresso libero.
La grande mostra- evento su Frida Khalo, l’artista messicana più famosa e acclamata al mondo, una delle icone del nostro tempo, sta per arrivare al MUDEC Museo delle Culture di Milano “FRIDA KAHLO.OLTRE IL MITO” è un progetto espositivo frutto di SEI ANNI DI STUDI E RICERCHE, che si propone di delineare una nuova chiave di lettura attorno alla figura dell’artista, evitando ricostruzioni forzate, interpretazioni sistematiche o letture biografiche troppo comode, e con la registrazione di INEDITI E SORPRENDENTI MATERIALI D’ARCHIVIO. La mostra riunirà in un’unica sede espositiva PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA e dopo quindici anni dall’ultima volta TUTTE LE OPERE PROVENIENTI DAL MUSEO DOLORES OLMEDO di Città del Messico E DALLA JAQUES AND e NATASHA GELMAN COLLECTION, le due più importanti e ampie collezioni di Frida Kahlo al mondo, e con la partecipazione di autorevoli musei internazionali che presteranno alcuni dei CAPOLAVORI dell’artista messicana MAI VISTI NEL NOSTRO PAESE (tra i quali, il Phoenix Art Museum, il Madison Museum of Contemporary Art e la Buffalo Albright-Knox Art Gallery). “Per quanto possa sembrare paradossale, è proprio il gran numero di eventi espositivi dedicati a Frida Kahlo che ha portato ad ideare questo nuovo progetto”, spiega il curatore della mostra, Diego Sileo, “perché – contrariamente a quanto appare – la leggenda che si è creata attorno alla vita dell’artista è spesso servita solo ad offuscare l’effettiva conoscenza della sua poetica.” Fino ad oggi la maggior parte delle mostre su Frida Kahlo si sono limitate ad analizzare, con una certa morbosità, i suoi oscuri traumi familiari, la sua tormentata relazione con Diego Rivera, il suo desiderio frustrato di essere madre, e la sua tragica lotta contro la malattia. “Nel migliore dei casi la sua pittura è stata interpretata come un semplice riflesso delle sue vicissitudini personali o, nell’ambito di una sorta di psicoanalisi amatoriale, come un sintomo dei suoi conflitti e disequilibri interni. L’opera si è vista quindi radicalmente rimpiazzata dalla vita e l’artista irrimediabilmente ingoiata dal mito.” La mostra intende andare oltre la visione semplicistica della relazione tra la vita e l’opera dell’artista messicana, dimostrando che per un’analisi seria e approfondita della sua poetica è necessario spingersi al di là degli angusti limiti di una biografia e andare oltre quel mito consolidato e alimentato dalle mode degli ultimi decenni. La mostra evidenzierà come Frida Kahlo nasconda ancora molti segreti e racconterà, attraverso FONTI E DOCUMENTI INEDITI SVELATI NEL 2007 DALL’ARCHIVIO RITROVATO DI CASA AZUL (dimora dell’artista a Città del Messico), E DA ALTRI IMPORTANTI ARCHIVI QUI PRESENTI PER LA PRIMA VOLTA CON MATERIALI SORPRENDENTI E RIVOLUZIONARI (archivio di Isolda Kahlo, archivio di Miguel N. Lira, archivio di Alejandro Gomez Arias) – nuove chiavi di lettura della sua produzione. Dalle indagini realizzate in Messico in prima persona dal curatore sono emersi alcuni temi e tematiche principali – come l’espressione della sofferenza vitale, la ricerca cosciente dell’Io, l’affermazione della “messicanità”, la sua leggendaria forma di resilienza – che permetteranno ai visitatori di percepire la coerenza profonda che esiste, molto più in là delle sue apparenti contraddizioni, nell’opera di Frida Kahlo. Gli stessi temi si rifletteranno nel progetto d’allestimento della mostra, che si svilupperà – secondo un CRITERIO ANALITICO DELLE OPERE- attraverso quattro sezioni: DONNA ,TERRA, POLITICA E DOLORE
Promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, e curata da Diego Sileo, Frida Kahlo. Oltre il mito porterà in Italia PIU’ DI CENTO OPERE tra dipinti (una cinquantina), disegni e fotografie.
MUDEC – Museo delle Culture di Milano (Via Tortona, 56) Dal 1 febbraio al 3 giugno 2018.
A un anno dalla presentazione a Berlino, candidato con 4 nomination agli Oscar, tra cui miglior film, è da oggi nelle sale “ Chiamami col tuo nome “ di Luca Guadagnino. Bel film, esteticamente impeccabiile, racconta con uno stile un po’affettato, della passione che irrompe nella vita di un diciassettenne all’interno di una famiglia alto borghese, impegnata a passare il tempo tra saggi e poesie, musica classica, e qualche dissertazione politica. In questo piccolo mondo un po’decadente e francamente insopportabile, che ci ricorda le atmosfere viscontian – bertolucciane ( Io ballo da sola ) di una borghesia affacciata sul nulla alle prese con quell’autocompiacimento che la lascia fuori dalla partita per stare alla finestra, compare Oliver, uno studente che sta lavorando al dottorato con il padre di Elio, docente universitario. L’amore che sboccia tra Oliver ed Elio sconvolge il mondo mollemente adagiato degli antipatici personaggi del film, e riscatta un’atmosfera fasulla e un po’ fastidiosa, mettendo in scena con sapienza e delicatezza, passione e sentimenti, veri , sul tema universale dell’amore, con i suoi patimenti e il suo carico di dolore. Chiude la storia un monologo del padre di Elio, fino a quel momento personaggio a dire poco superfluo, che per toni e sincerità, vale il film intero.
Dopo il trionfo ai Golden Globe, ( tutti premi meritatissimi ) arriva in Italia Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
L’interprete principale è la bravissima Frances Mc Dormand, premiata come miglior attrice protagonista di un film scritto con i controfiocchi, miglior sceneggiatura a Venezia e ai Golden Globe, drammatico e divertente, intelligente, impegnato senza essere bacchettone, indipendente, profondo e spettacolare, con battute e svolte di narrazione continue. Una commedia nera dove dolore, rabbia e tensione, si mescolano raccontando l’America della provincia più profonda, quella tante volte rappresentata, del razzismo e della misoginia, ma da un punto di vista diverso e con un’ umorismo sorprendente dal regista angloirlandese Martin McDonagh. Il cuore del film, è la storia di una madre che lotta perché a sette mesi dalla morte della figlia, violentata e uccisa, sia fatta giustizia e siano catturati i colpevoli, e lo fa con rabbia, con dolore, rancore, determinazione, rivolgendo la sua furia spietata allo sceriffo e al suo aiutante, accusandoli di non aver fatto abbastanza per trovare gli assassini e affittando tre spazi pubblicitari giganti sulla strada che porta fuori dalla cittadina per scuotere dalla palude dell’immobilismo: “Violentata mentre moriva, ancora nessun arresto, come mai capo Willoughby?”. Mano a mano che la storia si sviluppa si comprendono le ragioni di tanto furore: Mildred è una donna divorziata da un marito violento, madre in rapporto conflittuale e insieme tenero con il figlio adolescente; dentro al suo dramma c’è tutta la ribellione ad anni, secoli di oppressione maschile, alla grettezza, all’ottusità, all’indolenza della polizia e forse anche alla corruzione. E’, in un certo modo, un film politico, nella misura in cui parla della nostra società,in un periodo storico in cui la lotta alla sopraffazione e al femminicidio sono nelle cronache di tutti i giorni, il personaggio forte, è femminile.Tutti i personaggi, anche il piu’ piccolo, sono stati curati nei dialoghi nei minimi dettagli, con un linguaggio sempre spiritoso e acuto senza mai sembrare finto, che non perde mai in intensità. Merito del regista e commediografo McDonagh, che riesce a creare una storia in cui il comico e il drammatico sembrano scaturire l’ uno dall’altro, in un crescendo di violenza, rabbia, irrazionalità, che sfocia nell’inverosimile, senza che ne risenta la verità dolorosa della storia e dei personaggi, un film “ruvido” e al tempo stesso poetico che lancia la sfida di un cinema umanistico, senza retorica, e contiene un messaggio, un invito a non arrendersi mai. Ebbing, riflusso. Da una situazione tragicomica che sfiora il surreale e mette in crisi di coscienza un’intera comunità costringendola a guardarsi dentro, nasce un segno positivo, un potenziale rinnovamento, l’uscita dalla stagnazione, dall’ottusità, dagli egoismi.
Fa parte dell’abum Utopia, uscito il 24 novembre, questo singolo minimalista, che parla dell’amore telematico tra due “music nerd”. Un brano delicato e un po’ malinconico che acquista potenza grazie ad un ‘intreccio di vocalità che sottolineano la tensione drammatica e la speranza di un amore che duri. La voce è accompagnata da un’arpa che fa da base alle incursioni elettroniche. La regia del video è di Tim Walker.
REVOLUTION è alla Fabbrica del Vapore, a Milano. La mostra è “partita” da Londra, fatto scalo a Montreal e approdata a Milano, per rivivere e documentare l’epoca della rivoluzione culturale che ha cambiato il DNA della nostra storia, nella quale la musica ha avuto un ruolo fondamentale, unendo sogni e speranze di tutta una generazione. Da Londra Beatles, Rolling Stones, Jimi Hendrix, Pink Floyd e una lunga serie di band eccezionali, e negli Stati Uniti Bob Dylan, i Buffalo Springfield e un’altra lunga serie di artisti altrettanto eccezionali . La politica sembra voler cambiare davvero il mondo: Che Guevara, Mao Tse Tung, Martin Luther King, Malcom X, Bob Kennedy. La poesia e la letteratura aprono strade fino ad allora impensabili: Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Norman Mailer su tutti. L’arte e la grafica mai così prolifiche e innovative: da Andy Wahrol a Hipgnosis, da Jasper Johns a Milton Glaser e tanti altri. La moda e le sue famose modelle: la minigonna di Mary Quant, gli stivaletti,Twiggy e Jean Shrimpton. Ma dietro e dentro a questi “ simboli” sono nati i movimenti che hanno dato vita a molte delle battaglie per i diritti che hanno modificato la nostra civiltà, e nella rivoluzione delle coscienze la musica diviene lo strumento di emancipazione dei vecchi costumi, si diffonde un desiderio di libertà e di uguaglianza, i ragazzi si trasformano in “cittadini del mondo”. “L’Uomo a una Dimensione” di H. Marcuse diventa la “bibbia” di tutti i movimenti. In tutto il mondo, a partire dagli USA, i movimenti studenteschi contestano i metodi di insegnamento nelle scuole e nelle università e chiedono libertà di parola con lo strumento dell’ assemblea, e presto la protesta si orienta verso temi che riguardano la politica, i diritti civili e la segregazione razziale.In mostra documenti originali che testimoniano le grandi manifestazioni contro la guerra in Vietnam, la lotta dei neri e del movimento femminista. Anche nell’Italia del “boom economico”, la protesta sorge nelle università, prevalentemente, contro i valori borghesi dominanti: l’individualismo, l’esaltazione della famiglia, il paternalismo, i pregiudizi di classe.
REVOLUTION Musica e ribelli 1966-1970 Dai Beatles a Woodstock
Curatori Victoria Broackes – Victoria and Albert Museum di Londra Geoffrey Marsh – Victoria and Albert Museum di Londra Fran Tomasi Clara Tosi Pamphili Alberto Tonti
FABBRICA DEL VAPORE Via Cesare Procaccini, 4 – 20154 Milano dal 2 dicembre 2017 al 4 aprile 2018
“ I VESTITI CHE CREO SONO LA MIA AUTOBIOGRAFIA. RAPPRESENTANO LA CALMA ELEGANTE A CUI ASPIRO E I DANNI CHE HO FATTO LUNGO LA SUA STRADA. SONO UN’ ESPRESSIONE DI TENEREZZA E DI UN ANIMO FURENTE. SONO UN’ IDEALIZZAZIONE ADOLESCENTE E LA SUA INEVITABILE SCONFITTA.” RICK OWENS
Sarà alla Triennale di Milano Subhuman Inhuman Superhuman, la prima retrospettiva dedicata alla creatività anarchica di Rick Owens, eclettico designer californiano scoperto da Anna Wintour, una delle voci più autorevoli del giornalismo di moda, per anni direttrice di Vogue America. Owens fonda il suo brand nel 1994 e si trasferisce a Parigi nel 2003, dove ha sede il suo quartier generale. La sua prima collezione di arredi, realizzata in compensato grezzo, marmo e corna di alce americano, è stata esposta al Musée d’Art Moderne di Parigi e al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, ed altri importanti riconoscimenti sono stati attribuiti nel corso degli anni al suo talento visionario ispirato da poeti ed artisti. La mostra, proposta dalla curatrice del settore moda della Triennale Eleonora Fiorani, e concepita nella sua interezza come un’opera d’arte, porta all’interno del processo creativo ed espressivo dell’universo di Owens, con pezzi provenienti dai suoi archivi di moda e arredo, con fashion film, art work, opere grafiche, pubblicazioni, e un’istallazione site-specific che sarà possibile vedere solo alla Triennale di Milano. L’obiettivo della mostra è l’indagine e la riflessione su ciò che è generalmente definito “bello”secondo i canoni tradizionali dell’estetica riconosciuta e accettata. La cifra creativa e la continua ricerca di Owens stravolge i parametri di dogmi e moralismi, mettendo in evidenza diversità ed accettazione di diversi concetti di bellezza, raccontati con sofisticata raffinatezza dalle passerelle delle sue sconcertanti, spettacolari e provocatorie sfilate, a tutte le altre forme della sua espressione artistica.
Dal 15 dicembre 2017 al 25 marzo 2018
Palazzo della Triennale
Viale Alemagna 6 Milano
Abbiamo bisogno di vedere altro ancora? Che non c’ è più tempo da perdere è ormai chiaro anche per i più scettici. La terra chiama, è un grido disperato che dovrebbe già averci scosso parecchio tempo fa, e adesso è diventato assordante, tanto che perfino il presidente americano Trump, in un primo momento deciso a rompere il trattato di Kyoto, sembra essersi arreso all’evidenza dopo la devastazione di Harvey, e oltre 160 miliardi di dollari di danni. Se nulla poteva un minimo di responsabilità e di amore per il pianeta dove anche i suoi figli vivono, e le migliaia di vittime causate dai disastri ambientali, il salato conto in dollari presentato dagli ultimi accadimenti, incendi compresi, ha aperto la strada ai ripensamenti. Purtroppo gli interessi economici hanno sempre avuto un peso determinante sulle decisioni, e perfino sulle iniziative da prendere, anche solo per incominciare a tamponare i problemi della crescita esponenziale dell’inquinamento del Pianeta, con le drammatiche conseguenze che oggi vediamo sempre più spesso. E’ di questi giorni l’annuncio della nuova campagna di sensibilizzazione del WWF “ PLANET IS CALLING” . «È necessaria una grande pressione pubblica sui governi e sulle autorità politiche, e il WWF si batte per realizzare concretamente l’Accordo di Parigi sul clima e l’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, documenti sottoscritti da tutti i paesi del mondo in sede Nazioni Unite, e salvaguardare i sistemi naturali di tutto il mondo che costituiscono labase fondamentale del nostro sviluppo e del nostro benessere» ha dichiarato Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia. «Al fianco di questa opera di pressione tutti possiamo fare qualcosa ogni giorno, con azioni concrete, per ridurre il nostro impatto sulla natura. E già oggi sono tanti gli esempi di soluzioni adottate da comunità in tante parti del mondo che stanno facendo la differenza». Il Wwf ha anche realizzato l’album 2017, sette segnali, lanciati in diverse parti del Pianeta, che mostrano l’impressionante effetto del crescente cambiamento climatico e di altre nostre irresponsabili, deprecabili azioni. L’arretramento delle banchise polari e lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione che con la conseguente crisi dell’habitat costringe un numero sempre più ampio di persone all’immigrazione di massa, mari e oceani invasi dalla plastica, incendi, degrado degli ambienti naturali e perdita continua di specie viventi. Una visione apocalittica? No, purtroppo questa è la realtà’, il momento di agire è già qui. ADESSO.
Inizia oggi, al BASE, attivissimo centro culturale di Milano, la seconda attesa edizione di Photo Vogue Festival, il primo festival internazionale della fotografia di moda legato ad un magazine. La moda, spesso etichettata come frivola, è invece l’espressione di chi siamo, chi vogliamo o vorremmo essere, di come ci poniamo al mondo, e in ogni caso, la prima impressione che diamo al prossimo. Gli abiti ci rappresentano, fanno antropologicamente parte della nostra storia, declinata in tutte le sue espressioni: fotografia, cinema, letteratura, arte, musica. Al di là dell’importanza economica del settore, la moda è un fenomeno socio-culturale ineluttabile, nato con la specie umana, che si evolve e si trasforma continuamente, seguendo e a volte anticipando, cambiamenti e rivoluzioni sociali che vengono anche racccontate, come storie, negli editoriali di moda che si sono succeduti negli anni, attraverso le interpretazioni di grandi fotografi. Vogue Italia presenta, in questa edizione, una collettiva dal titolo FASHION & POLITICS IN VOGUE ITALIA che ripercorre gli argomenti della nostra storia più recente : guerre, catastrofi ambientali, differenze di genere, discriminazioni razziali, violenza, ossessione per la chirurgia plastica, attraverso le immagini di Steven Meisel, David Lachapelle, Bruce Weber, Tim Walker,Peter Lindbergh, Miles Alridge, Mert & Marcus, Ethan James Green e Elen Von Unwerth, a riprova del fatto di come, spesso, la fotografia di moda abbia sfumature politiche e rifletta i nostri tempi. Ma l’obbiettivo principale del festival organizzato da Vogue è lo scouting, la presentazione e la premiazione dei più promettenti talenti della fotografia che potrebbero essere i protagonisti delle storie di moda di domani. In PHOTOVOGUE / VISION sono in mostra le opere di 18 giovani fotografi giunti attraverso l’autocandidatura sulla piattaforma fotografica di Vogue.it e selezionati da una giuria internazionale. Completano il programma delle quattro intense giornate, diretto da Alessia Glaviano, photo editor di Vogue Italia, una serie di talk con esperti del panorama fotografico mondiale, proiezioni, e la presenza di curatori di fama, editori e photo editor. Sabato 18 novembre si terrà una Portfolio Rewiew dedicata ad alcuni talentuosi fotografi selezionati, che avranno la possibilità di sottoporre il loro portfolio ai più accreditati professionisti del settore.
16 – 19 Novembre 2017
BASE MILANO
Via Bergognone 34
Milano
Storie è la grande mostra monografica dedicata a Paolo Roversi , un maestro della fotografia di moda tra i piu grandi e celebrati, promossa e organizzata da Vogue Italia, in occasione di Photo Vogue Festival, curata da Alessia Glaviano, photo editor di Vogue Italia, e ospitata nello spazio espositivo delle 9 stanze degli Appartamenti del Principe al Palazzo Reale di Milano. Nove stanze per nove storie. Le fotografie di Paolo Roversi,non sono “ solo “ foto di moda, sono viaggi intimisti alla ricerca di una poesia, sono dipinti alla ricerca del sentimento della luce. Ritratti, nudi, still life, tutte le sue foto esprimono un’ anima, dalla più intima alla più glamour, alla continua ricerca della bellezza, una bellezza fragile, eterea,di un’intensità deflagrante, magica come un sogno. La sua “ firma”, la cifra stilistica che è l’impronta inconfondibile dei suoi lavori, è nata con la sperimentazione della Polaroid 20 x 25 della quale è stato uno dei pionieri.
The Square è il perimetro di un quadrato situato a terra, un’opera la cui didascalia dice : “Il Quadrato è un santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi diritti e doveri.
Il protagonista del film è il curatore di un museo d’arte moderna che perde il suo aplomb di ingessato intellettuale quando un imprevisto mette in crisi la sua vita costruita su comode ipocrisie, rivelando un uomo sgradevole e confuso. Commedia satirica dove la presa in giro del mondo elitario dell’arte contemporanea sembra l’ovvio bersaglio, The Square è in realtà una fotografia per niente confortante del mondo odierno, che mette a nudo attraverso la pochezza vanesia del suo protagonista, la cinica immaturità di una società che non ha voglia di fare i conti con se stessa, e una certa illuminata intellighenzia tronfia di buonismo che al momento opportuno si volta elegantemente dall’altra parte. Due ore e venti di comicità e situazioni paradossali, silenzi e piccoli movimenti.
All’Hangar Bicocca di Milano “ Take Me ( I’m Yours ) “ una collettiva che rompe i canoni di ogni regola con la partecipazione attiva dei visitatori, invitati ad intervenire. Le opere si possono toccare, usare, modificare, consumare, se ne possono prendere pezzi e lasciare qualcosa di proprio. Si possono prendere copie del poster che Maurizio Cattelan ricevette in dono da Alighiero Boetti, mangiare i cioccolatini di Carsten Hoeller con la scritta “Future” sull’involucro, scattarsi un selfie e aggiungerlo alle foto di Franco Vaccari, farsi ritrarre da un disegnatore o disegnare un modello in posa nello spazio performativo di Francesco Vezzoli, o appendere agli alberi di limone Wish Trees di Yoko Ono, dei biglietti con i propri desideri. Scambio attivo del prendere/dare quindi, dove l’intervento individuale diventa espressione di massa modificando l’oggetto e l’idea che lo esprime, in una trasformazione continua e libera da dogmi che si evolve e si rigenera nel tempo. L’idea è quella della continuità dello scenario globale della storia e della società contemporanea. La mostra è stata allestita per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra e poi ripresa a partire dal 2015 in molteplici versioni, passando da Parigi, Copenhagen, New york e Buenos Aires, nata da una serie di conversazioni e riflessioni tra il curatore Hans Ulrich Obrist e l’artista Christian Boltanski, sulla necessità di ripensare al modo di esporre un ‘opera d’arte. L’idea del progetto è partita da un lavoro dello stesso Boltanski, “ Quai de la Gare “ nel quale mucchi di vestiti venivano modificati nel corso della mostra permettendo al pubblico di prenderli e portarseli via in una busta marchiata con la scritta “ Dispersion “ e rendendo effettivo il significato e il titolo dell’opera, destinata a disperdersi e scomparire. L’opera è presente a Milano, insieme a quelle di circa cinquanta artisti, tra i quali 15 italiani, allestite nei mille metri quadri dello Shed di Pirelli HangarBicocca. Workshop, performance ed eventi speciali completano la mostra, che è visitabile fino alle 21,15 ( ultimo ingresso ) ma è consigliata, e durante i weekend necessaria, la prenotazione.
Hangar Bicocca Via Chiese 2. Milano.
Dal 1 Novembre 2017 al 14 Gennaio 2018
Curatori: Chiara Parisi,Roberta Tenconi,Hans Ulrich Obrist,Christian Boltanski
Fondazione Prada presenta nella sede di Milano dal 20 ottobre 2017 al 15 gennaio 2018 un programma di ricerca e di informazione sull’arte sviluppatasi a Chicago nel secondo dopoguerra. La mostra prosegue la strategia di rilettura della Fondazione di momenti della storia dell’arte contemporanea che, anche se non riconosciuti completamente dalla critica, hanno segnato l’attualità delle nuove generazioni artistiche, dai graffitisti ai neotecnologici. L’operazione di attraversamento di una pittura caratterizzata dall’impegno politico, dalla narrazione figurativa e dalla radicalità grafica, e per questo rifiutata dalla cultura dominante newyorkese più interessata alla dimensione astratta e impersonale dell’arte, è articolata in tre approfondimenti tematici concepiti e curati da Germano Celant come un unicum – “Leon Golub”, “H. C. Westermann” e “Famous Artists from Chicago.1965-1975” – e dedicati a due generazioni di artisti formatesi a Chicago tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Questo progetto contribuisce a indagare la produzione artistica nei due decenni fuori dai principali centri di diffusione dell’arte, da Parigi a New York, per focalizzarsi sullo sviluppo di scene alternative nate intorno a scuole e accademie d’arte, in questo caso la School of the Art Institute of Chicago, e in competizione o in posizione critica rispetto al discorso industriale e riduttivo della Minimal Art. “Leon Golub”, la prima parte del percorso espositivo, affronta due aspetti complementari della produzione dell’artista, presentando 27 acrilici su tela, di spettacolari dimensioni, realizzati dalla fine degli Sessanta agli anni Ottanta e più di 50 fotografie stampate su carta trasparente negli anni Novanta.Golub (Chicago, 1922 – New York, 2004), fin dalla sua formazione a Chicago, esplora un personale approccio alla figurazione, discostandosi dallo stile dominante dell’Action Painting e dell’Espressionismo astratto della New York School. L’esposizione si concentra sulle componenti politiche del suo lavoro che affronta apertamente la durezza della guerra, del razzismo, della tortura e della violenza. Nel corso degli anni, i suoi soggetti sono sempre più estremi, come i riferimenti diretti alla guerra in Vietnam che, trasportati sulle grandi tele – nella serie Mercenaries, ad esempio – diventano simboli della condizione para-militare della vita contemporanea. Nelle trasparenze fotografiche Golub manipola e altera immagini esistenti degli stessi soggetti drammatici e tragici e, dopo averli fotocopiati o fotografati, li trasferisce su grandi fogli trasparenti che enfatizzano il crudo realismo della sua opera. L’approfondimento dedicato a H. C. Westermann raccoglie più di 50 sculture di grandi e piccole dimensioni realizzate tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta e una selezione di opere su carta ed esplora il particolare e intenso approccio alla lavorazione del legno che gli deriva dalle tradizionali tecniche di carpenteria. Il rifiuto per il formalismo e la predilezione per i materiali di recupero, così come la visione nostalgica verso un’America scomparsa e lo sguardo critico sulla brutalità del presente, sono diventati elementi d’ispirazione per le successive generazioni di artisti attivi a Chicago e non, da Jeff Koons a KAWS (Brian Donnelly). “Famous Artists from Chicago. 1965-1975”, è concepito come un approfondimento dell’opera di artisti attivi negli anni Sessanta e Settanta e protagonisti di mostre che mettevano in discussione le tradizionali convenzioni espositive, di presentazione e fruizione dell’opera d’arte, come “Hairy Who” (1966-‘67), “False Image” (1968-‘69), “Nonplussed Some” (1968-’69), organizzate all’Hyde Park Art Center di Chicago, e l’esposizione itinerante “Made in Chicago”, presentata per la prima volta alla Biennale di San Paolo nel 1973. Il titolo della mostra alla Fondazione riprende la necessità, espressa dall’allora curatore e insegnante Don Baum, di proiettare gli artisti di Chicago sulla scena nazionale e internazionale. “Famous Artists from Chicago. 1965-1975” dimostra la vivacità dell’ambiente culturale della città americana come centro di produzione figurativa e l’eterogeneità dei contributi di alcuni degli artisti noti come Chicago Imagists (Roger Brown, Ed Flood, Art Green, Gladys Nilsson, Jim Nutt, Ed Paschke, Christina Ramberg, Suellen Rocca e Karl Wirsum), che avevano individuato nel Surrealismo e nell’Art Brut le radici delle loro ricerche, così da anticipare le nuove espressioni degli anni Ottanta e Novanta, dal Graffitismo alla Street Art, dai cartoons selvaggi ai murales urbani. Il progetto è accompagnato da tre pubblicazioni della serie dei Quaderni della Fondazione che, attraverso testi e materiali inediti, ne approfondiscono i temi.
20 Ottobre 2017- 15 Gennaio 2018 Fondazione Prada
Largo Isarco 2 Milano
Nelle sale italiane dal 16 al 24 ottobre, LOVING VINCENT, il primo film di animazione interamente dipinto da 125 artisti in sei anni di lavorazione. Il film, recitato prima da attori e poi dipinto inquadratura dopo inquadratura nello stile di Van Gogh, racconta la vita dell’artista con i personaggi dei suoi quadri, come lo stesso Van Gogh ha dipinto nelle sue opere i sentimenti e gli accadimenti della sua vita. I registi Dorota Kobiela e Hugh Welchman hanno costruito la sceneggiatura servendosi delle lettere dell’artista ( circa 800 tra scritte e ricevute ) per un biopic nel quale la tormentata vita del pittore è raccontata dalla sua arte attraverso il cinema. Davvero imperdibile questo straordinario, unico racconto, che regala momenti di vera magia.
Dal 28 settembre all’8 ottobre, queste le date del Milano Film Festival ,un appuntamento imperdibile con una programma fittissimo di cinema indipendente con molte anteprime, proiezioni, rassegne e incontri, serate musicali, arti visive, eventi speciali, mostre. Non solo cinema dunque, ma una vera kermesse culturale che abbraccia trasversalmente tutte le arti. Undici giorni di contemporaneità, ricerca, aggregazione, idee, scambio culturale, tanto che non ci si accorge del passare del tempo e quando finisce se ne vorrebbe ancora. Oltre al programma del CONCORSO INTERNAZIONALE LUNGOMETRAGGI che comprende otto opere prime e seconde presentate in anteprima, girate da registi provenienti da ogni parte del mondo, il CONCORSO INTERNAZIONALE CORTOMETRAGGI, la sezione ormai storica dedicata al documentario politico “COLPE DI STATO”, il “FOCUS ANIMAZIONE ” la sezione “VIDEOESPANSO” di video musicali dedicata al linguaggio a metà strada tra il cinema e il web, e ancora , “DEBUT”,una serie di appuntamenti per colmare il vuoto di connessione tra l’industria e chi vuole iniziare a fare cinema, AUDIOVISIVA, un programma di interazioni tra musica, arte e tecnologia, e non manca nemmeno uno spazio per i più piccoli: MILANO FILM FESTIVALINO. Proiezioni fuori concorso: mai distribuito in Italia, “20TH CENTURY WOMEN di Mike Mills con Annette Benning, e ancora MANIFESTO di Rosenfeldt, COLUMBUS di Kogonada , TONY CONRAD. COMPLETELY IN THE PREESENT di Tyler Hubby, che racconta la vita del’artista che fu fonte di ispirazione per i Velvet Underground, film maker visionario ed eclettico,e ancora : GIRL POWER di Jan Zajicek, doc sulle donne graffitare e la loro street art. Si inaugura durante il Festival la SALA 360°, la prima sala cinematografica in Italia in Realtà Virtuale, esperimento che si estenderà per 6 mesi con ospiti speciali e incontri di approfondimento sulle novità della produzione video di devices di realtà aumentata e virtuale. E non è finita qui, mostre e musica non possono mancare. NOI, MILANO 1968- 1977 è la raccolta della memoria storica di un periodo indimenticabile che ha dato inizio ad una rivoluzione culturale che è diventata parte della città. 14 ore di filmati girati dal Collettivo Cinema Militante. Altra mostra da non perdere è “ ANTONIONI, ARCHEOLOGIA DEL SET “, che attraverso le foto di scena di “ l’Avventura “ e “ Deserto Rosso “ di Enrico Appetito, cerca la relazione tra il regista e la natura. Non esiste cinema senza musica, e non esiste Milano Film Festival senza festa e senza eventi musicali. Ogni giorno un DJ set da scoprire.
Conclusa la 74° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un Festival quest’anno, veramente di altissimo livello, con l’assegnazione del Leone d’Oro per il miglior film alla favola dark “The Shape of Water” di Guillermo del Toro, film amato da subito da critica e pubblico. Una romantica storia d’amore tra una strana creatura marina e una donna delle pulizie muta che si svolge durante gli anni della Guerra Fredda e lancia un messaggio di grande attualità : solo con l’amore si vince la paura.
Gran Premio della giuria a “Foxtrot” di Samuel Maoz, un surreale ritratto dell’elaborazione del lutto di un padre che perde il figlio militare nell’esercito di Israele, denunciandone la violenza insita nella società israeliana.
https://youtu.be/RferxJtvUL8
Premio Speciale della Giuria a “Sweet Country” di Warwick Thornthon, una storia vera accaduta in Australia negli anni “20”che racconta di un aborigeno accusato ingiustamente dell’omicidio di un colono bianco.
Miglior film della sezione Orizzonti a “Nico, 1988” di Susanna Nicchiarelli, road movie sugli ultimi anni di vita della cantante dei Velvet Underground, musa di Andy Wharhol, di cui avevamo già parlato il giorno della prima.
Premio Leone del Futuro per la miglior opera prima a “Jasqu’à la Garde” di Xavier Legrand, che si aggiudica anche il Leone d’Argento per la regia, per un film che è un grido politico contro la violenza sulle donne.
https://youtu.be/hI5W9RIypfY
Non meno importanti i “premi minori “: Premio Speciale della Giuria Orizzonti a “Caniba”dei registi ed antropologi Verena Paravel e Lucien Castaing- Taylor,il documentario sul cannibale della Sorbona che nel 1982 uccise e mangiò la sua compagna di studi. Premio Venezia Classici per il miglior documentario sul cinema al film “The Prince and the Dybbuk” di Elwira Niewiera e Piotr Rosoowski, Il Premio per il Miglior Film restaurato a “Idi I Smotri” di Elem Klimov, il Premio al Miglior Cortometraggio a “Gros Chagrin”,di Celine Devaux, il Premio alla Miglior Storia in realtà virtuale a “Bloodless” di Gina Kim. la Miglior Esperienza in realtà virtuale a “La Camera Insabbiata” di Laurie Anderson e Hsin- Chien Huang e per la Miglior Realtà Virtuale a “Arden’s Wake” di Eugene YK Chung.
Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli apre la 74 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con la sezione Orizzonti. Il film è il biopic sulla mitica cantante dei Velvet Underground, icona degli anni 70 e musa di Andy Warhol.
Donna dalla bellezza leggendaria, Nico vive una seconda vita dopo la storia che tutti conoscono, quando inizia la sua carriera da solista. La sua musica è tra le più originali degli anni ‘70 e ‘80 ed ha influenzato tutta la produzione musicale successiva. La ‘sacerdotessa delle tenebre’, così veniva chiamata, ritrova veramente se stessa dopo i quarant’anni, quando si libera del peso della sua bellezza e riesce a ricostruire un rapporto con il suo unico figlio dimenticato. ‘Nico, 1988’ racconta degli ultimi tour di Nico e della band che l’accompagnava in giro per l’Europa degli anni ’80. È la storia di una rinascita, di un’artista, di una madre, di una donna oltre la sua icona. “Questa è la storia di Nico dopo Nico – dice la regista Susanna Nicchiarelli – Di lei di solito si parla solo in funzione degli uomini con cui è stata da giovane: Brian Jones, Jim Morrison, Bob Dylan, Alain Delon, Iggy Pop. Una volta in un’intervista lessi che ‘a 34 anni Nico era una donna finita’. Falso. Dopo l’esperienza con i Velvet Underground Nico diventa una grande musicista. Ho voluto raccontare la sua parabola al contrario – spiega Chiarelli – a perdita del consenso e il cambiamento della sua immagine, hanno significato la conquista della libertà”.
70 primavere e non le dimostra. Il Festival di Locarno, uno dei Festival cinematografici più attesi dell’estate, ha aperto il 2 agosto la sua settantesima edizione con un programma di grande cinema e anteprime esclusive. Ricerca e attenzione per le opere prime sono sempre state le caratteristiche di questo Festival che si è imposto negli anni fino a diventare uno dei punti di riferimento dei cinephiles alla ricerca di pellicole d’autore, e che ogni anno si reinventa, per questo non invecchia, anzi. Due nuove sale aggiunte, Palacinema e Gran Rex, e tre nuove iniziative: Locarno Kids, Locarno Talks, spazio di discussione con Carla del Ponte (membro della commissione internazionale d’inchiesta indipendente dell’ONU per la Siria), l’architetto del Burkina Faso Diebedo Francis Keré, l’artista/musicista canadese Peaches e l’astrofisica inglese Ben Moore, e #movieofmylife, progetto per web che consiste in un concorso multimediale aperto a tutti, Sulla piattaforma del sito di Locarno Festival sono visibili tutti i video di 70 secondi caricati entro l’ 11 . 8. (www.movieofmylife.ch. )
Disseminati tra le tante sale e la Piazza Grande 18 film in concorso per il Pardo d’Oro, 16 nella sezione Cineasti del presente, 38 nei due concorsi per i Pardi di domani, 10 nella sezione Open Doors, 7 nella Semaine de la critique, 16 in Piazza Grande, mega schermo open air tra i portici medioevali. Non mancano, tra le tante pellicole di sperimentazione, film divertenti di stampo Hollywoodiano, come Atomica Bionda, con Charlize Theron, spy story da fumetto ambientata a Berlino mentre il muro sta crollando. Altre star : Vanessa Paradis è la protagonista di Chien, una superba Fanny Ardant in Lola Pater, Isabelle Huppert è la misteriosa Madame Hyde, un magnifico Robert Pattinson in Good Time, e due miti imperdibili: David Lynch e Harry Dean Stanton , indimenticabile in Paris Texas, in Lucky . Molti gli ospiti : Adrien Brody, Isabelle Huppert, Alexandr Sokurov, Mathieu Kassovitz, Nastassja Kinski, Fanny Ardant,Todd Haynes, Vanessa Paradis.
Questo e molto altro, diviso in sezioni , doc e retrospettive sul sito di Locarno Festival
FAUST di Anne Imhof, Padiglione tedesco, vincitore del Leone d’Oro.
Un’ installazione potente, dura, cruda come i nostri tempi difficili, dove l’accento politico si svela attraverso un percorso vitreo in assenza di colori, che fa da palcoscenico ad una generazione che vive in una gabbia trasparente, uno spazio glaciale in cristallo e acciaio con un mondo di sopra e uno di sotto, che richiama alla metafora del controllo, del potere , in una realtà alienante dove l’individuo è costretto ad un’esistenza delimitata da tracciati invisibili. L’opera è costruita con un pavimento in vetro che divide e sospende il piano calpestabile dal pavimento reale, in modo da creare un effetto acquario tra performers e spettatori. Sotto le lastre di vetro del pavimento-soffitto si muovono ragazzi algidi, dagli sguardi catatonici, quasi automi svuotati da ogni guizzo vitale, soggiogati alla noia di un’esistenza meccanica, ammaestrata. Nei tre spazi principali, giacigli in latex nero,strumenti di costrizione come corde, cavi elettrici con estremità metalliche a testa di cane, medicinali, liquidi. Una scenografia inquietante eppure seduttiva. Quello che accade nelle quattro ore di ciclo delle performance, è la messa in scena di serie di azioni ripetute ma mai identiche, come il toccarsi a vicenda, bruciare oggetti, spingersi contro il vetro. Canti, suoni e chitarre distorte, una Bella Ciao fischiettata, distante come un ‘eco. Una scritta: “Not Again”. Un Catwalk potentissimo che si frantuma in una composizione statica, pittorica. Alla fine, gli attori lasciano una scena vuota, dove domina fortissima una sensazione di assenza. Un’opera emotiva, che lascia addosso un’ansia, un’oscura consapevolezza, alla quale si ribella l’indomita fierezza dell’umano in cerca di un destino che fugge dall’omologazione.
Anne Imhof : Giardini di Castello Padiglione Tedesco
Ci sono parole da aggiungere a queste immagini ? Si, tante. Perché a quanto pare non sono bastate quelle dette fino ad ora, e siamo arrivati a quello che vediamo. World Ocean Day dovrebbe essere World Ocean Every Day, perché di questo c’è bisogno, di una mobilitazione comune e totale di ognuno di noi, ogni giorno, anche e soprattutto nelle piccole cose quotidiane che piccole non sono, se pensiamo a quanti sacchetti e a quante bottiglie di plastica farebbero la differenza nel panorama desolante, mortificante, dello stato in cui l’incuria, l’ignoranza e l’ egoismo hanno ridotto una fonte di vita primaria per l’umanità e per tutto il pianeta. Non dimentichiamo che il 50 % dell’ossigeno arriva dagli oceani e che assorbono il 25% di CO2. Da anni la ricerca si sta occupando del problema del riciclo della plastica e si sono raggiunti risultati che sarebbero stati impensabili qualche decennio fa, quando il “Moplen” inneggiava alla modernità. Alla ricerca e alle associazioni che si sono via via costituite per la difesa di questo patrimonio inestimabile si sono aggiunte iniziative che vedono partnership come quella tra Adidas e Stella McCartney con Parley for the oceans, organizzazione che lavora per mettere fine alla distruzione della vita degli oceani, usando plastica riciclata per sneaker e abiti, come già tre anni fa Bionic Yarn, in collaborazione con Pharrell Williams per i jeans di G-Star. Le ultime stime parlano di più di 150 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica presenti nei mari con pesanti conseguenze su 600 specie marine, il 15% delle quali sono in via di estinzione. L’inquinamento dei mari non coinvolge “solo” le specie marine, ama anche l’uomo. Nei mari si riversano microplastiche e nanoplastiche che vengono ingerite da pesci e finiscono nella nostra catena alimentare. Un tragico autogol. In difesa dell’ambiente, la casa in cui vìviamo, si schierano anche molti nomi dello star system, come Leonardo Di Caprio, da molti anni paladino della causa e impegnato in prima persona con molte organizzazioni ambientaliste e con la sua Leonardo DiCaprio Foundation promuove decine di cause. Facciamo che i Trump del mondo siano una minoranza sempre più isolata, e che la difesa della vita del nostro pianeta faccia parte del nostro quotidiano, e riusciremo a lasciare alle prossime generazioni della specie umana e animale, la Terra come dovrebbe essere: un paradiso.
Una settimana full immersion con circa 150 tra eventi, laboratori, incontri, archivi e mostre, musei, scuole, agenzie, progetti editoriali, opening e proiezioni urbane. Tutto questo è Milano PhotoWeek,, alla sua prima edizione, dal 5 all’11 giugno. Dalle immagini di moda e architettura, nelle quali Milano è tra le città leader, ai grandi autori, ai reportage, agli archivi della nostra memoria storica, la grande settimana della fotografia si propone sia ai cultori che ad un pubblico più ampio con nomi di richiamo come Robert Mapplethorpe, Vivien Maier, Robert Doisneau, e tantissimi altri autori per scoprire in tutte le declinazioni questo irrinunciabile linguaggio dell’arte contemporanea.
La rassegna si apre LUNEDI’ 5 con il progetto 365+1 Ritratti a Milano ideato da Leica Camera Italia. Durante la settimana 30 fotografi milanesi,si alterneranno in un set fotografico davanti a Leica Galerie in Piazza Duomo, all’interno del quale sarà possibile essere fotografati, diventando i soggetti di una pubblicazione tra questa e la prossima edizione di Photo Week. Al BASE Milano, alle 21 si aprirà con Notte Indie – Common Thinking + Transizioni una serata di musica e proiezioni dedicata ai collettivi di giovani fotografi provenienti da diverse parti del mondo e una retrospettiva di Transizioni | Rassegna Internazionale del Film Fotografico a cura di Officine Fotografiche Milano.
MARTEDI’ 6 alle 21 ai Frigoriferi Milanesi, Snapshots, una proiezione dedicata ai lavori realizzati dai più rappresentativi autori della fotografia africana contemporanea. A seguire la proiezione del documentario African Photo. Mama Casset di Elisa Mereghetti.
MERCOLEDI’ 7 alle 21 alla Fondazione Stelline, il documentario: “Robert Doisneau: Through the Lens”.apre una maratona cinematografica per approfondire la storia del mezzo artistico.
GIOVEDI’ 8 dalle ore 16 visita guidata alla mostra “La Terra Inquieta” presso la Triennale di Milano, seguita da una conferenza di rilievo contemporaneo dedicata al tema “Fotografia e società: documento o espressione artistica?” a cura del MiBACT per la fotografia: nuove strategie e nuovi sguardi sul territorio. Alle 21 sempre alla Fondazione Stelline, la presentazione del prossimo Photo Vogue Festival 2017,che si terà in novembre, a Milano, e alle 21. 30 la proiezione del film documentario Bill Cunningham. New York (di Richard Press) a cura diCineWanted in collaborazione con la Fondazione Stelline. Un omaggio al noto fotografo del New York Times scomparso lo scorso anno.
Da VENERDI’ 9 pomeriggio a DOMENICA 11 giugno in Piazza Gae Aulenti Wide Photo Fest 1 , promosso da AIF – Associazione Italiana Foto & Digital, con un palinsesto di eventi e contest dedicati sia ai professionisti che agli appassionati di fotografia per conoscere e sperimentare le nuove tecnologie messe a disposizione dai principali marchi del settore.
DOMENICA 11 , nell’area di Porta Nuova, il progetto ‘ponte’ tra la Milano Photo Week e la Milano ArchWeekdal titolo Milano Open Portrait, installazione che coniuga fotografia e architettura.
E ancora : Archivi Aperti Una settimana alla scoperta del patrimonio fotografico di Milano e della Lombardia: gli archivi fotografici saranno aperti al pubblico che potrà conoscere la ricchezza delle collezioni di musei, fondazioni e associazioni
Deanna & Ed Templeton. Last Day Of Magic. Micamera
L’iniziativa è promossa e coordinata dall’Assessorato alla Cultura di Milano con la collaborazione di Arts For e il supporto di Foundation Carmignac e Leica.
E’ finita una settimana fa la Design Week milanese, appuntamento imperdibile per designer, brand, aziende di livello internazionale e outsiders. Una settimana tra le più divertenti e interessanti dell’anno, densa di eventi, performance, mostre e feste dove il grande protagonista è il Design. Impossibile parlare di tutto, è già difficile fare una piccolissima selezione, perché l’offerta è veramente immensa e l’unica cosa da fare, potendo, sarebbe cercare di viverla, cercando di sopravvivere alle centinaia di installazioni sparse in undici diversi distretti della città. Qui un piccolo report di pezzi divertenti, innovativi , interessanti, utili, per sognare dentro o fuori dal quotidiano.
Al Base, uno dei più grandi e recenti spazi dedicati alla cultura, alla moda e al design, nel cuore del Tortona district, Water Bed di Daniel Durnin, per accamparsi lungo le vie d’acqua della città invece che sulla terra ferma e guardare la città da un punto di vista insolito, mobile e fluttuante in un riparo minimalista e nomade. Kinu,di Paolo Bandiello per Art, corpo a due ante sospeso in una cornice di legno, già vincitore di diversi premi, arricchito di altre tre opere per la sua veste grafica. Ogni Kinu è numerato e siglato dall’artista. Al SuperDesign Show, Osound , bluetooth speacher di Digital Habits, la poltrona del designer Alessandro Ciffo e Aurora, lampada realizzata in fogli di metallo sottile, con una struttura malleabile che può assumere molteplici configurazioni e può essere utilizzata a sospensione, a parete o disposta su tavolo o da terra. Realizzata dal collettivo di creativi Nucleo e dall’azienda Caino Design fa parte dell’interessante progetto Marca promosso e sostenuto dalla Camera di commercio di Torino in collaborazione con il Centro Estero per esprimere e sostenere le eccellenze del territorio torinese. Lambrate Ventura è tra i distretti più vivaci, da sempre consacrato e vissuto come il trampolino di lancio di molti giovani talenti, e qui il giro inizia con “ Savage Comics “, oggetti da cucina ai quali gli studenti del corso di Fumetto, Illustrazione,Concept e Character Design della Scuola Mohole di Milano, hanno dato un carattere creando personaggi che si muovono all’interno di un vero e proprio Storytelling attraverso pinguini, balene, fenicotteri o cavallucci marini o caffettiere dalle mille facce. Proseguiamo poi con le lampade pop a grandi fiori di Bloomboom, o lo scarabeo che illumina le pareti di Design By Nico, piuttosto che il classico pallone, qui in una “riflettente” versione “damier” di Amitrani, mentre l’opera di Eleonora Musca è un mix perfetto tra arte, design e neoromanticismo al lume di candela. Per l’angolo del buonumore, la “smile chair “ Happy Emotions disegnata da Marco Rubini, e la Day Dream di Assaf Israel per Joynout per un relax proiettato direttamente nel futuro. Di Basten Leijh Design Studio Howareyou, la sedia / poltrona per lavorare anche in videoconferenza in modalità wireless, e Walcar, un’automobile a spinta per i più piccoli. Al Cinque Vie district Gala Fernández Montero, artista e designer spagnola di base a Madrid e Marbella, ex direttrice del design department di Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, presenta oggetti in vetro soffiato dentro strutture di ferro, di recupero, di uso comune come gabbie per uccellini, barattoli, cestini porta uova, stampi per budino. Il proposito di Gala è rendere manifesto il concetto di libertà attraverso la fuoriuscita del vetro soffiato oltre i limiti delle strutture in cui è imprigionato. Con Invisible OutlinesNendo, lo Studio guidato da Oki Sato ha presentato la nuova collezione di vasi in mostra nello show room di Jill Sander. Jellyfish Vases è composta da trenta vasi in silicone ultrasottile che fluttuano in un grande acquario come meduse. Tante sono state le installazioni in città, ma la Statale ( l’Università degli Studi di Milano ) quartiere generale di Interni, è una tappa obbligatoria con la festa d’apertura della Week Design. Una delle installazioni , Wave Cave, composta da 1670 blocchi in terracotta non smaltata, posizionati uno sull’altro per quasi 4 metri di altezza, dando vita a fantastici giochi di luce ed ombra. Al Brera district Missoni Home ha presentato Take It Easy, installazione per il lancio della carta da parati Wallcoverings01. Anche quest’anno Marni rafferma con Marni Playland l’impegno del brand verso le iniziative charity rivolte ai più piccoli con il ricavato delle vendite di elementi di arredo come poltroncine con il tetto nelle quali rannicchiarsi, sculture d’arrredo, coni colorati su cui impilare anelli, cesti, giocattoli dal sapore antico, portaoggetti con i quali giocare a pallacanestro. Ogni oggetto è realizzato a mano in metallo, legno dipinto, e fili colorati in PVC intrecciati, pezzi unici pensati per il Salone del Mobile 2017 interamente prodotti in Colombia da un gruppo di donne che trovano attraverso il loro lavoro indipendenza ed emancipazione.